LA DISCIPLINA RELATIVA ALLA GESTIONE DEI RIFIUTI.

LA DISCIPLINA RELATIVA ALLA GESTIONE DEI RIFIUTI.

L’esercizio di attività imprenditoriale, sia agricola che non, inevitabilmente comporta il generarsi di rifiuti dei quali è necessario assicurare il corretto trattamento, onde evitare di incorrere in sanzioni amministrative e/o penali.

 

Il testo normativo di riferimento è il D.Lgs. 152/2006, che detta una dettagliata disciplina in materia.

Le ipotesi più frequentemente oggetto di contestazione riguardano l’abbandono o deposito incontrollato di rifiuti o, ancora, l’inquinamento dei luoghi.

 

La premessa d’obbligo è la definizione di rifiuto come qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’obbligo di disfarsi.

Secondo la citata legislazione, segue poi la suddivisione dei rifiuti in categorie, come ad esempio pericolosi e non, speciali e non.

 

In particolare i rifiuti derivanti da attività agricola o agro/industriale rientrano nella specie dei rifiuti speciali: non pericolosi, ad esempio, plastica, imballaggi di carta, pneumatici, veicoli da rottamare, scarti vegetali in genere purché non riutilizzati nelle normali pratiche agricole; pericolosi, ad esempio, batterie, fitofarmaci non più utilizzabili, batterie esauste, oli esauriti da motori o carburanti.

 

Diversamente non sono qualificati come rifiuti, ed esulano quindi dall’applicazione della normativa in questione, ad esempio, le materie fecali ed altre sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole e, in particolare, i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione dei fondi rustici; i materiali vegetali non contaminati da inquinanti provenienti da alvei di scolo ed irrigui, utilizzabili tal quale come prodotto.

Lo stesso deve osservarsi, in generale, quanto ai c.d. sottoprodotti (ossia i prodotti dell'attività dell'impresa che, pur non costituendo l'oggetto dell'attività principale, scaturiscono in via continuativa dal processo produttivo dell'impresa stessa e sono destinati ad un ulteriore impiego o al consumo) di cui l'impresa non si disfi, non sia obbligata a disfarsi e non abbia deciso di disfarsi e, in particolare, i sottoprodotti impiegati direttamente dall'impresa che li produce o commercializzati a condizioni economicamente favorevoli per l'impresa stessa, direttamente per il consumo o per l'impiego, senza la necessità di operare trasformazioni preliminari in un successivo processo produttivo (l'utilizzazione del sottoprodotto deve essere certa e non eventuale).

 

A seconda dell’appartenenza alla categoria di rifiuto pericoloso o non vengono dettate specifiche disposizioni quanto alla possibilità di deposito temporaneo e limitato di quantità presso l’azienda ed alle operazioni e modalità di smaltimento.

 

Particolarmente significativa è l’ipotesi del deposito temporaneo.

Il riferimento è all’articolo 183: lo stesso prevede la possibilità di raggruppamento dei rifiuti, prima della raccolta, nel luogo in cui sono stati prodotti in presenza di specifiche condizioni relative alla qualità e quantità dei rifiuti, al tempo di giacenza, alla tipologia del materiale ed al rispetto delle norme tecniche di cui al citato decreto.

In primis, prevede la legge che è quindi necessario l’accumulo nel luogo di produzione, con suddivisione per categorie omogenee.

Inoltre, è possibile il deposito per un termine massimo di tre mesi, a prescindere dal dato quantitativo; diversamente, anche per un periodo superiore a tre mesi, è ammesso il deposito di rifiuti entro il limite di 30 metri cubi (di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi), il cui smaltimento dovrà comunque essere avviato entro un anno.

 

La violazione di tali disposizioni potrebbe essere foriera di responsabilità penale per il titolare dell’impresa, andando ad integrare la fattispecie di cui all’articolo 256, relativa ad attività di gestione dei rifiuti in assenza di autorizzazione (comma 1), ma anche alle attività di deposito incontrollato ed abbandono di rifiuti (comma 2).

Ciò in difetto anche di uno solo dei requisiti elencati più sopra.

E’ prevista, in particolare, per i trasgressori l’applicazione della pena dell’ammenda alternativamente o congiuntamente a quella dell’arresto, con gradazione di gravità ed incidenza a seconda della tipologia di rifiuto, pericoloso o meno.  

 

In proposito, merita segnalarsi che, per la definizione degli illeciti di cui al D. Lgs. 152/2006, una modifica normativa introdotta nell’anno 2015 ha previsto un meccanismo premiale in caso di eliminazione della violazione da parte dell’autore. Trattasi degli articoli 318 bis e s.s..

Tale definizione alternativa si applica agli illeciti contravvenzionali che non abbiano cagionato né danno né pericolo concreto ed attuale di danni alle risorse ambientali urbanistiche o paesaggistiche protette.

Nei predetti casi, si dispone che l’ente accertatore conceda al trasgressore un termine per l’adempimento delle prescrizioni che verranno ritenute idonee alla rimozione della situazione illecita; in caso di positivo adempimento, lo stesso sarà ammesso a pagare una sanzione applicata in forma ridotta; l’effettuazione anche del pagamento comporterà l’estinzione del reato e dunque l’archiviazione del procedimento penale originato dalla contestazione dell’illecito.

Ad esempio, tale meccanismo estintivo potrebbe trovare applicazione in riferimento ad un’ipotesi di deposito incontrollato od abbandono di rifiuti della specie non pericolosi.

 

 

 

Avv. Mariagrazia Pellerino

Avv. Daniela Altare